mercoledì 12 novembre 2014

Tutti Philae con la Rosetta degli altri

Dunque, una decina d'anni fa, quando la sonda Rosetta è stata lanciata con destinazione cometa, io mi occupavo di tutt'altro. Stavo dietro all'infrastruttura che tiene in piedi (per citare una delle cose più importanti) la Banca Dati dei Trapianti di organo, dove si incrociano richieste e disponibilità, con tempi di reazione dell'ordine di qualche minuto, massimo un'ora, da quando la richiesta viene soddisfatta a quando parte l'eliambulanza con gli organi da trapiantare verso la Sala Operatoria col paziente in attesa di trapianto. 

Facevo, sempre a livello infrastrutturale, altre cosucce utili a salvare vite umane, a migliorare qualità della vita di persone colpite da malattie, a garantire le informazioni affidabili e tempestive che servono per un Servizio Sanitario moderno ed efficiente.

È vero, non mi sono occupato più di tanto di una sonda spaziale che partiva alla ricerca di amminoacidi su una cometa. Avevo altro da fare. E oggi che la sonda è arrivata a destinazione non mi sembra "un grande passo per l'umanità", ma il risultato di attività piuttosto auto-referenziali. Perdonate.

martedì 11 novembre 2014

1 novembre 2010

Sono passati ormai più di quattro anni, da quel primo novembre 2010, quando arrivò la telefonata che non lasciava più speranza. Arrivò dopo un lungo periodo di sofferenza, per lui e anche per me. Non seppe mai che cosa stavo passando, lui eterno lavoratore, ex sindacalista: non avrebbe capito perché, dopo quasi 35 anni di lavoro ininterrotto, ero stato lasciato a piedi.

Lui soffrì per i suoi quasi 90 anni, e perché ormai non voleva più vivere. "Decubito": che bella parola, sembra quasi un'onorificenza. "Ha ottenuto il decubito", una specie di vitalizio ad honorem. E invece no. Sono piaghe, sparse per tutto il corpo, soprattutto la schiena, che si infettano molto facilmente. E un organismo di quasi 90 anni, ex fumatore, da tempo diabetico, non ce la fa più a guarire. Le pomate, gli antibiotici, tutte le cure del mondo richiedono sempre la "collaborazione" del corpo che le riceve. E invece in quelle condizioni la collaborazione non c'è, la voglia di andare avanti è evaporata, volata chissà dove.

Così cominciano le corse all'ospedale, le nottate in corsia, senza speranza, le dimissioni con una scrollata del capo, più eloquente di qualsiasi diagnosi. Una, due, quante? Non ricordo, forse tre o quattro. Fino all'ultima volta: ricovero in un ospedale specializzato per malattie gravi e spesso terminali, incurabili: postumi di infarto grave, di ictus, di infezioni stupide ma difficilmente curabili, appunto.

Infine, quando sembra che forse c'è una ripresa, che ci possa essere una speranza di poter festeggiare insieme i famosi 90, ecco che arriva la telefonata. Chilometri di corsa con la testa zeppa di pensieri, diluvio fuori e dentro, stordimento. Si arriva davanti a qualcuno che dentro il suo camice fornisce la versione scientifica della realtà. La realtà ha sempre ragione, e il suo corpo adesso è all'obitorio.

"Domani è il 2 novembre, non si fanno funerali" sentenzia l'uomo delle pompe funebri. Così quel povero corpo viene conservato in frigo. Così c'è un'altra notte di assurdità fra la sua morte e la terra fredda che lo accoglierà. Dopodomani.