venerdì 16 dicembre 2011

sala d'attesa

Non sono certo belle sensazioni quelle che si provano nella sala d'attesa di un ambulatorio medico. Ansia, noia per il tempo che si perde, incertezza su quello che ci verrà detto e su quello che dovremo fare, dopo. E più si prolunga l'attesa e più monta il disagio, il malessere, quel senso di "non ancora", "non si sa" che prende alla gola e stringe, soffoca. Ogni minuto che passa è una pietra al collo. Quando finalmente arriva il nostro turno, quasi non ci sembra vero, ci gira la testa e non siamo quasi più in grado di comprendere quello che ci viene detto, che pure è importante per il nostro futuro. Si esce dall'ambulatorio più che frastornati, scossi, svuotati, con quel foglietto in mano su cui c'è scritto il verdetto, a volte la condanna, quasi sempre una pena.

Sono in "sala d'attesa" da qualche giorno, e credo che durerà ancora una settimana. No, nessun ambulatorio, nessuna visita specialistica. Non ancora. Si tratta soltanto del mio futuro lavorativo (o non-lavorativo). Che vuoi che sia. Un uomo a 57 anni può benissimo rifarsi una vita. Dipende se ha soldi oppure se deve elemosinare la sopravvivenza. Senza contare lo stress dell'attesa di conoscere decisioni altrui che sono già state prese e la relativa perdita di tempo.

lunedì 5 dicembre 2011

Futuro

Nel mio futuro non c'è più la parola "futuro". Oggi è il 5 dicembre, e non so dove sarò né che cosa farò il 2 gennaio. Sarà un lunedì. Altro non mi è dato immaginare.

Si possono coltivare sogni, favole, illusioni, ma alla fine quello che conta è la realtà. Siamo immancabilmente incatenati in questa grotta dove Platone ci ha scovati, rivolti verso la parete, col fuoco alle spalle. Ombre, non vediamo che ombre.

Ma non tutti, sai? Qualcuno ha più potere, qualcuno ha il potere di voltarsi verso il fuoco e di guardare in faccia la realtà. Magari può modificarlo, quel fuoco: non spegnerlo, ma indirizzarlo a suo favore. Fino a quando. Nessuno si ritiene veramente responsabile delle proprie azioni, a parte i folli.

E così ritorniamo al nodo iniziale: responsabilità e follia.

sabato 3 dicembre 2011

che fare

Dovrei trovarmi un nuovo lavoro. È più di un anno che dovrei. L'ho cercato, e un po' continuo ancora a cercarlo. Colloqui. Mi guardano strano, come se fossi un pesce fuor d'acqua. Poi arriva il solito "Le faremo sapere, arrivederci", cioè addio.

Da quando è arrivata questa batosta ho cambiato molte cose della mia vita. Alcune erano già cambiate prima, ma non era così pesante sopportare quei cambiamenti. Altra cosa è non avere più casa, nel senso di non avere più la possibilità economica di continuare ad avere una casa. Nella sfortuna, sono stato fortunato: non dormo sotto i ponti. Ma non sono contento.

Mi mancano molte cose, prima fra tutte la serenità. Non ho orizzonti, se non quelli immaginari che mi costruisco per non perire. Non credo che faccia bene alla salute doversi trascinare da un giorno all'altro senza poter credere a un domani, dipendendo dal capriccio di persone incapaci e incompetenti, adulatrici e ipocrite.

Ma sono qui nonostante. Passerà un altro inverno.