mercoledì 13 aprile 2005

Metro

In questi giorni sto andando a lavorare con i mezzi pubblici.

Ciò mi offre la possibilità di osservare molte persone mentre si spostano da una parte all'altra della Città. In particolare, il tragitto più lungo lo faccio in Metro: questo stesso nome è ormai trasfigurato a significare un'avanzata "metro dopo metro" verso mète agognate e sempre uguali, dimenticando l'etimologia di "Ferrovia Metropolitana", che riporta alla Metropoli, la grande Città, la "Città Madre" degli antichi Greci, oggi molto spesso "matrigna" per chi vi abita.

Ma non vorrei divagare. Stamattina, al capolinea, la Metro si fa aspettare più del dovuto, o semplicemente più di quanto l'umana sopportazione dei pendolari metropolitani sia disposta ad accettare. Finalmente arriva, apre le porte, e allora va in scena l'eterno "assalto al posto". Tanto che, una prevedibile anziana signora si lamenta perché un'altrettanto prevedibile giovane donna è più rapida a sedersi sull'ultimo posto disponibile. La giovane, invece di incassare in silenzio la "vittoria" di questo sprint tutto da ridere, rimprovera l'anziana per aver espresso il proprio disappunto e anzi se la prende con "questi cinquantenni" che pretendono chissà che cosa.

Una splendida prova che il sentimento della vergogna, fra reality show e fiction, ha ormai abbandonato alcuni appartenenti alla cosiddetta "giovane generazione".

Nonostante tutto, continuo a nutrire la speranza che siano pochi ad aver perso la vergogna. Non per me, ma per tutti coloro che verranno dopo di me, compresa la giovane che stamattina ha così bene interpretato la parte della "vincente" in una corsa cieca verso il nulla.