Sono nato solo e solo sono rimasto fino a tarda età.
Non avevo molte occasioni, e non provavo molto interesse a conoscere gli altri. Carattere introverso, famiglia di misantropi, chissà. Passavo le mie mattinate a scuola, come una specie di pesce fuor d'acqua: certo, interagivo con i miei compagni, ma dentro di me pensavo a quanto mi sembravano differenti da com'ero io. Gli insegnanti erano fuori della mia portata, erano "grandi".
Il pomeriggio trascorreva lento fra i compiti, sempre troppi e sempre troppo banali o fastidiosi, e diversi giochi solitari inventati con i pochi giocattoli che avevo a disposizione o con la fantasia. Piccole differenze fra estate e inverno: una finestra aperta o chiusa, un termosifone acceso o spento, un maglione o una maglietta leggera.
Un filo d'ansia mi prendeva alla fine della scuola, perché veniva a mancare quel minimo contatto con altri coetanei. Ma tutto ricominciava ad ottobre.
Più avanti negli anni, diventato apparentemente più socievole, a volte mi coinvolgevo o venivo coinvolto in attività collettive, con amici e amiche che mi sembravano sempre troppo preoccupati di non lasciarmi da solo.
Le rare esperienze sentimentali non interruppero questa intima sensazione di solitudine. Al massimo, riuscivo a dimenticarmene per qualche ora, ma poi mi ripiombava addosso con tutto il suo peso. Ancora peggio quando scoprivo che la persona a cui dedicavo tutte le mie energie emotive non riusciva ad entrare in questo mio mondo privatissimo. O non voleva.
(continua)