sabato 11 febbraio 2006

Caino

Questa prende spunto da una riflessione sulla pena di morte, lanciata da un amico-poeta. Caino è colpevole, ha tolto la vita al fratello. È giusto ripagarlo con la sua stessa moneta ?

Sono stato io, proprio io. Nessuno stava dalla mia parte, e nessuno vorrà starci ora. Quel bastardo mi levava ogni respiro. Era bello, forte, amato, era fortunato. Io sono brutto, denigrato, solo e non me ne va bene una. Neanche questa, per la verità. Perché lui non c'è più ma è peggio che se ci fosse ancora: tutti parlano bene di lui, tutti lo ammirano, è diventato un santo. Io sono il mostro, l'assassino: c'era da aspettarselo, no ? Uno che non riesce neanche a procurarsi da mangiare. Figurarsi che cosa può fare di buono al mondo. Mondo. Mi ha mai voluto, il mondo ? Mi ha mai guardato ? Sa forse che esisto ? Caino: nessuno pronuncia il mio nome. Hanno paura. Non sono un uomo.

Che cos'è questo rumore ... vengono a prendermi. Ora sarà il mio momento: così muore Caino. Che importa la vita vissuta allo sbando, se posso riscattarla con l'attimo eroico della morte ! Vedranno di che sono capace ! Rumore di passi, di chiavi: vengono a prendermi. È l'ora. O forse no: mi lasceranno marcire quaggiù, per farmi espiare la colpa. Così dicono loro. Che colpa ? Forse quella di essere nato Caino, di aver avuto un Abele per fratello, lui sì !

Cala la sera. Non sono venuti. La scodella è rimasta lì, non ho fame. Bevo un po' d'acqua. L'acqua è libera. Chissà da dove viene, quest'acqua, quali montagne, quali valli ha attraversato per arrivare fin qui, sulle labbra di un Caino qualsiasi. Bevo, va giù. Ho forse qualcosa dentro ? Ho un'anima ? Che domande: sono un mostro, un assassino !

È l'alba. Quanto tempo è passato ? Non c'è tempo, qua dentro. Non c'è niente di umano. Solo dolore che genera altro dolore. Ipocrisia. Eccoli, stavolta sono venuti. Si apre la porta. Non voglio il cappuccio nero, la benda. Guarderò in faccia la morte, di cui sono figlio. Tornerò a nutrirla. Così tutti gli altri saranno salvi.